Noi vivi

film del 1942 diretto da Goffredo Alessandrini
Disambiguazione – Se stai cercando il romanzo, vedi Noi vivi (romanzo).

Noi vivi è un film del 1942 diretto da Goffredo Alessandrini, prima parte dell'adattamento dell'omonimo romanzo scritto da Ayn Rand.

Noi vivi
Rossano Brazzi e Alida Valli in una foto di scena del film
Lingua originaleitaliano
Paese di produzioneItalia
Anno1942
Durata94 min
Dati tecniciB/N
rapporto: 1,37:1
Generedrammatico
RegiaGoffredo Alessandrini
SoggettoAyn Rand
SceneggiaturaCorrado Alvaro, Anton Giulio Majano, Orio Vergani
Casa di produzioneScalera Film, Era Film
Distribuzione in italianoScalera Film
FotografiaGiuseppe Caracciolo
MontaggioEraldo Da Roma
MusicheRenzo Rossellini
ScenografiaAndrej Bessborodoff, Georg Abhkazy.
CostumiRosi Gori
Interpreti e personaggi
Doppiatori originali

Presentato come pellicola unitaria alla Mostra del cinema di Venezia del settembre 1942, successivamente, data la sua lunghezza (circa quattro ore), è stato commercializzato dalla Scalera in due film separati, dei quali il primo mantenne il titolo originario del romanzo, mentre la seconda parte venne denominata Addio Kira!.

I due film furono realizzati senza l'approvazione dell'autrice, ma sono stati in seguito oggetto di una revisione approvata da Rand nel 1980, pubblicata come unico lungometraggio con il titolo We the Living nel 1986.[1]

Unione Sovietica, 1922: la giovane Kira, figlia di commercianti impoveriti dalla rivoluzione, si trasferisce dal Caucaso a Pietrogrado per studiare ingegneria. Viene ospitata dalla famiglia Dunaiev, il cui figlio Victor è attratto da lei e la implora di attenuare le sue posizioni anti-bolsceviche. Kira, però, incontra Leo, un giovane misterioso e sconosciuto del quale la ragazza ben presto si innamora. Denunciati da Sjerov, giovane studente fanatico, Kira viene arrestata, mentre Leo, che è in realtà il figlio di un ammiraglio zarista fucilato dai rivoluzionari, riesce a fuggire.

Durante l'arresto Kira viene difesa da Andrej, commissario politico, che si innamora di lei e si adopera per ottenere la sua liberazione, nonostante l'opposizione di Sjerov e i sospetti che con tale comportamento attira su di sé. Kira, liberata, riallaccia i rapporti con Leo, e i due giovani decidono di fuggire via mare all'estero, ormai persuasi di non avere un futuro nel proprio Paese. Il tentativo però non riesce perché la loro imbarcazione viene intercettata e affondata. Loro riescono a salvarsi, ma nella disavventura Leo si ammala di tisi e ha necessità di essere inviato in un sanatorio in Crimea. Per ottenere queste cure Kira ricorre all'intervento di Andrej e si rassegna a diventarne l'amante.

Realizzazione del film

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Soggetto e sceneggiatura

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Noi vivi venne tratto, «abusivamente e senza autorizzazione»[2] dal romanzo omonimo di Ayn Rand, su cui si appuntò l'attenzione di Alessandrini che, considerando la vicenda molto accattivante per un largo pubblico medio, ne propose al produttore Scalera il trasferimento sugli schermi.[3] Alla sceneggiatura lavorarono in parecchi, dal futuro maestro dello sceneggiato televisivo italiano Anton Giulio Majano allo scrittore Corrado Alvaro, che poteva vantare una conoscenza diretta della situazione russo-sovietica,[4] mentre i dialoghi furono curati da Oreste Biancoli, non accreditato.[5]

 
La difficoltà degli alloggi e la promiscuità abitativa fu uno dei temi propagandistici contenuti in Noi vivi. Foto di scena con Alida Valli

La trasposizione sullo schermo seguì quasi per intero e senza modifiche il romanzo, scelta non apprezzata da alcuni commentatori tra i quali il futuro regista Antonio Pietrangeli, secondo cui «il film poteva benissimo essere portato nei limiti dei 3.000 metri o poco più. Con qualche spirito di sacrificio qualche scena piuttosto secondaria o addirittura pleonastica non si poteva tagliare?».[6]

Produzione

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Il film, prodotto dalla Scalera Film nei propri stabilimenti romani, non fu l'unico di impronta propagandistica realizzato nel 1942 da questa importante società dell'epoca, che nello stesso anno presentò anche gli analoghi Alfa Tau! di De Robertis e Giarabub, diretto anch'esso da Alessandrini, anche se alternati a pellicole di tutt'altra natura come il proto-neorealista I bambini ci guardano di De Sica, il calligrafico Tragica notte di Soldati o il comico-parodistico Il fanciullo del West di Ferroni. La lavorazione iniziò alla metà di giugno 1942[7] e andò avanti per tutta l'estate. Sorsero difficoltà quando ci si accorse che, arrivati alla metà del libro, il film era già lungo due ore: le riprese furono sospese per due settimane e fu a quel punto che si decise di risolvere il problema dividendolo in due pellicole da distribuire separatamente.[8]

Tutti gli ambienti, comprese le scene in San Pietroburgo con la neve, furono ricostruiti negli interni dei teatri di posa ricorrendo ai due scenografi di origine russa Andrej Bessborodoff e Georg Abhkazy. La Scalera si proponeva l'obiettivo di presentare Noi vivi alla Mostra di Venezia, ma per diverse settimane si dubitò di riuscire a completarlo per tempo, tanto che, ancora alla fine di agosto si annunciava che il film era sempre in lavorazione e non sarebbe stato presente.[9]

 
In tutto il film persiste un'atmosfera buia, cupa e greve, che venne giudicata in modo diverso dai commentatori. Foto di scena con Alida Valli e Rossano Brazzi

Accoglienza

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Contraddicendo le previsioni, Alessandrini riuscì a recuperare i ritardi e la pellicola, dell'inusitata lunghezza di ben 6.000 metri e per questo presentata come un "colosso" della cinematografia italiana,[10] arrivò in extremis alla Mostra, dove venne presentata il 15 settembre, giornata conclusiva della manifestazione.

Dubbi a Venezia

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Alla Mostra del cinema, nonostante il contesto bellico e propagandistico, il film non riuscì a convincere tutti i commentatori. Tra i più critici vi fu Adolfo Franci che scrisse di una «pletorica storia che avrebbe guadagnato se narrata con speditezza. Noi vivi è un film un po' informe, un po' monotono, troppo cupo e verboso»,[16] mentre altri lo definirono «più spettacolare per la lunghezza che non per l'architettura, e coerente con il romanzo della Rand più di quanto fosse lecito attendersi; talvolta le sequenze dialogiche soverchiano quelle narrative e tal'altra la curiosità ristagna».[17]

Anche osservatori meno critici appuntarono l'attenzione più sul contesto descritto da Noi vivi che sul suo intrinseco valore artistico. Guido Piovene descrisse il film come «il più serio tentativo fatto finora di mettere in un film la vita interna dell'Unione Sovietica. Il suo valore è specialmente nella greve, lugubre atmosfera che vi grava sin dall'inizio, atmosfera di una monotonia opaca dove nulla riesce a prendere rilievo, nemmeno i fatti di sangue».[18] Altri esaltarono i meriti della produzione: «Anche qui la levatura tecnica e artistica della nostra (italiana - n.d.r.) cinematografia ha vinto una bella battaglia, proprio qui ha dimostrato l'alto livello della sua capacità realizzatrice».[19]

Ad apprezzare completamente il film di Alessandrini non furono in molti. Tra questi Raffaele Calzini che lo giudicò «armoniosamente diretto, il regista non ha perso di vista la curva parabolica dell'azione che comincia con Noi vivi e termina con Addio Kira! in un lento fioccare di neve. Alida Valli tiene bene il centro del film complessa e triste, Giachetti fa del suo personaggio un'incarnazione superba, Brazzi ha dato consistenza e verosimiglianza al suo Leo».[20] Anche Francesco Pasinetti giudicò che il film «quantunque prolisso, è mantenuto a un livello di tensione drammatica che suscita l'attenzione assidua dello spettatore».[21]

Critica contemporanea

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Circa un mese dopo la presentazione veneziana la Scalera Film distribuì la prima parte del film, ma la sua minore lunghezza non mutò i giudizi dei commentatori. L'Illustrazione italiana confermò che «la lunghezza eccessiva dei dialoghi, la monotonia delle inquadrature, la lentezza dell'azione, l'uniforme grigiore degli ambienti aggiungono al film pesantezza e tediosità»,[22] mentre per Cinema si tratta di «episodi quasi tutti insistiti o stucchevoli che vanno semplicemente seguendo l'ordine del "ciak" senza un filo spirituale che li leghi tra di loro».[23] Fu ancora Guido Piovene a esprimere invece un apprezzamento: «Il film è stato accusato di monotonia e cupezza, ma forse nel coraggio con cui lo si è tenuto su una nota monocorde consiste il meglio di esso».[24]

 
Immagine promozionale del film di Alessandrini apparsa su un periodico dell'epoca

Risultato commerciale

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Nonostante i rilievi della critica e i timori del regime, Noi vivi diventò un notevole successo di pubblico e commerciale. Infatti, sulla base dei dati disponibili[25] risulta, con un introito di circa 11.600.000 lire dell'epoca, uno dei film più visti e più "ricchi" del 1942, anno in cui fu un altro film di propaganda, Bengasi di Augusto Genina, a raggiungere il massimo con circa 16 milioni. Se però si aggiunge anche la somma incassata dal successivo Addio Kira!, che fu distribuito circa un mese dopo Noi vivi, il dato economico complessivo del film di Alessandrini supera i 20 milioni di lire, un risultato che nessun'altra pellicola riuscì a eguagliare neppure prendendo in considerazione il triennio 1940-1943.

 
I tre protagonisti Rossano Brazzi, Alida Valli e Fosco Giachetti fotografati assieme sul set di Noi vivi in una pausa della lavorazione

Commenti successivi

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Con il passare del tempo Noi vivi, con il suo seguito Addio Kira!, restò nei commenti un'opera di propaganda.[26] Alcuni, però, hanno aggiunto anche giudizi di natura artistica, quali «un melodrammone ambientato sullo sfondo della rivoluzione sovietica, in cui la logica del melodramma si afferma come un "fuori storia" dove l'amore, il privato, le scelte esistenziali prevalgono su ogni cosa»,[4] oppure «un moderno feuilleton di materia enfatica e debordante».[27] Più recentemente Il Mereghetti ne dà invece una visione meno negativa: «Benché nel complesso monotono e prolisso, all'epoca ha goduto di cattiva fama, ma rivisto oggi non è privo di interesse. Potrebbe essere segnalato come il prototipo del teleromanzo italiano».

Riconoscimenti

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Benché arrivato alla Mostra di Venezia all'ultimo momento, il dittico di Alessandrini riuscì comunque a ottenervi un premio, anche se di secondo piano: l'ambita Coppa Mussolini fu infatti attribuita a Bengasi di Genina, mentre il film di Alessandrini ottenne invece, in compagnia di altre quattro opere, sia italiane che estere, il Premio della Biennale.

  1. ^ Rossano Brazzi in Cinecittà anni trenta, cit. in bibliografia, p.105, racconta di avere incontrato personalmente Rand durante il suo soggiorno hollywoodiano: «Abbiamo rivisto assieme il film e mi assicurò che tutto era perfetto».
  2. ^ Cardillo in Storia del cinema italiano, cit. in bibliografia, p.67.
  3. ^ a b Alessandrini in Cinecittà anni trenta, cit. in bibliografia, p.48.
  4. ^ a b Caldiron in Storia del cinema italiano, cit. in bibliografia, p.240.
  5. ^ a b Cavallo, cit. in bibliografia, p.126.
  6. ^ Antonio Pietrangeli. Corrispondenza da Venezia, Bianco e nero, settembre 1942.
  7. ^ Primi piani, n. 6, giugno 1942.
  8. ^ Brazzi in Cinecittà anni Trenta, cit. in bibliografia, p.107.
  9. ^ Articolo di Adolfo Franci, L'Illustrazione italiana, n. 35 del 30 agosto 1942.
  10. ^ Primi piani, n. 10, ottobre 1942.
  11. ^ Gili, cit. in bibliografia, p.68.
  12. ^ «Il cervello - dice Kira - è un attributo individuale, non è patrimonio collettivo. (…) Non possiamo dividere un boccone tra molti uomini. Non possiamo digerirlo in uno stomaco collettivo. Nessun individuo può servirsi dei propri polmoni per respirare in funzione di un altro. E nessun uomo può servirsi del proprio cervello per pensare per un altro» Da Ayn Rand, La fonte meravigliosa, Ediz. Accademia, Milano 1975.
  13. ^ Giachetti in Cinecittà anni Trenta, cit. in bibliografia, p.416.
  14. ^ Baldi in Storia del cinema italiano, cit. in bibliografia, p.403.
  15. ^ Intervista pubblicata in: (FR) Jean A. Gili, Le cinéma italien à l'ombre des fascieaux (1922-1945), Perpignan, Institut Jean Vigo, 1979, p.221
  16. ^ L'Illustrazione italiana, n. 38 del 20 settembre 1942.
  17. ^ Giuseppe Bevilacqa in Primi piani, n. 9, settembre 1942.
  18. ^ Guido Piovene, corrispondenza da Venezia, Corriere della sera del 16 settembre 1942.
  19. ^ Articolo di Sisto Favre in Lo schermo, n. 9, settembre 1942.
  20. ^ Articolo in Film, n. 35 del 16 settembre 1942.
  21. ^ Francesco Pasinetti, articolo "I film veneziani", Cinema, n. 150 del 25 settembre 1942.
  22. ^ Adolfo Franci, L'Illustrazione italiana, n. 43 del 25 ottobre 1942.
  23. ^ Recensione a firma "Vice" [Gianni Puccini], Cinema, n. 152 del 25 ottobre 1942.
  24. ^ Articolo di g.p. [Guido Piovene], Corriere della sera del 20 ottobre 1942.
  25. ^ Non esistono dati ufficiali sugli incassi dei film italiani degli anni trenta e primi quaranta. Le somme indicate sono pubblicate in Storia del cinema italiano, cit. in bibliografia, p.666 e seg., e sono dedotte indirettamente dai documenti relativi ai contributi alla cinematografia concessi dallo Stato in base alle norme incentivanti dell'epoca.
  26. ^ «Kolossal della propaganda di regime» lo definisce Alfonso Canziani in Cinema di tutto il mondo, Mondadori, Milano 1978, mentre per George Sadoul (ne Il Cinema, Sansoni Editore, Firenze 1967) è pellicola di «propaganda antisovietica».
  27. ^ Il cinema, grande storia illustrata, cit. in bibliografia, vol. 2, p.237.

Bibliografia

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  • Pietro Cavallo, Viva l'Italia. Storia, cinema ed identità nazionale (1932-1962), Napoli, Liguori, 2009, ISBN 978-88-207-4914-9
  • Il cinema, grande storia illustrata (dieci volumi), Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1981, ISBN non esistente
  • Le città del cinema. Produzione e lavoro nel cinema italiano (1930 - 1970), Roma, Napoleone, 1979, ISBN non esistente
  • Jean A. Gili, Stato fascista e cinematografia: repressione e promozione, Roma, Bulzoni, 1981, ISBN non esistente
  • Paolo Mereghetti, Il Mereghetti 2014, Milano, Baldini e Castoldi, 2013, ISBN 978-88-6852-058-8
  • Francesco Savio, Cinecittà anni Trenta. Parlano 116 protagonisti del secondo cinema italiano (tre volumi), Roma, Bulzoni, 1979, ISBN non esistente
  • Storia del Cinema Italiano, vol. VI (1940-1944), Venezia, Marsilio e Roma, Edizioni di Bianco e nero, 2010, ISBN 978-88-317-0716-9

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